Piazza Garofalo: un risarcimento per Lea

Nel marzo 2015, com’è noto, la nostra città ha intitolato una piazza a Lea Garofalo: moglie di uno ‘ndranghetista, uccisa nel 2009 perché aveva deciso di denunciare la mafia e collaborare con la giustizia, il cui corpo era stato poi ritrovato a pochi km da Lissone. Ci era sembrato un gesto significativo per ribadire il nostro impegno per la legalità e il sostegno alla lotta contro la criminalità organizzata.

Adesso apprendiamo che potrebbe non essere stato soltanto quello: Lissone infatti, a sentire il racconto della giornalista Marika Demaria, autrice del libro “La scelta di Lea”, avrebbe anche avuto un debito nei confronti della donna, perché proprio nella nostra città si sarebbe svolto l’atto che ha consentito ai sicari di individuare il domicilio segreto di Lea.

Ecco la storia, che non abbiamo possibilità di verificare, così com’è stata riportata da un quotidiano:
“Nell’inchiesta della giornalista di Narcomafie non mancano i particolari inquietanti. Come quello che riguarda un episodio avvenuto il 20 novembre 2004, quando Lea e la figlia erano ancora nel programma di protezione.
Gennaro Garofalo, un lontano parente, molto amico di Vito Cosco (fratello dell’ex compagno di Lea, condannato anche lui all’ergastolo), va alla stazione dei carabinieri di Lissone, nella provincia di Monza e Brianza.
Non deve sporgere denuncia. Non deve prendere servizio. O perlomeno non più. Il ragazzo era infatti un ausiliario dei carabinieri, ma si era congedato tre giorni prima”.
Va lì con la scusa di un saluto e “riesce ad utilizzare il pc di un collega, impegnato in un’operazione esterna, per cercare la città dove vive Lea inserendo la password che era stata appuntata su un’agenda riposta in un cassetto non chiuso a chiave”.
Dunque l’intitolazione della piazza a Lea Garofalo potrebbe essere in qualche modo anche un risarcimento dovuto.