Una farsa in 4 atti
Le “Comunicazioni” che aprono i lavori del Consiglio comunale sono un momento che, in teoria, dovrebbe dare voce a riflessioni di interesse generale, a spunti di crescita civica o almeno a considerazioni politiche di respiro. Nella pratica, purtroppo, il 29 settembre scorso abbiamo assistito ancora una volta ad un imbarazzante spettacolo di aggressioni verbali, strumentalizzazioni e rovesciamenti della realtà.
Quattro interventi, quattro variazioni sullo stesso tema: la destra-destra lissonese non perde occasione per evitare accuratamente qualsiasi menzione positiva a valori come inclusione, solidarietà, rispetto delle minoranze o difesa dei più deboli. Al loro posto, un copione sempre identico: attacco, vittimismo e criminalizzazione sistematica di chi non la pensa come loro.
Atto I – Gaia Sieli e il Brianza Pride
La consigliera Sieli (Lega) ha esordito con un’operazione di acrobazia retorica: un elogio alla Giunta per il recente FuoriGP, dipinto come evento “inclusivo”e “per tutti”, subito contrapposto al Brianza Pride che, secondo lei, sarebbe stato “inclusivo solo a parole”.
La colpa? Una fantomatica “Via Frocis”, definita parodia offensiva dei simboli cristiani. Peccato che nel suo intervento non vi fosse traccia di un riconoscimento del senso vero di quella manifestazione: difendere diritti civili, contrastare discriminazioni, rivendicare dignità per chi ancora oggi subisce marginalizzazione.
Atto II – Massimiliano Paninforni e l’ossessione securitaria
Segue il consigliere Paninforni (Lega) che si lancia in una requisitoria violentissima contro le manifestazioni pro-Palestina, definite senza esitazione “guerriglia urbana”, “violenza organizzata”, “odio contro lo Stato”. Nessun distinguo, nessuna consapevolezza delle motivazioni profonde, nessuna parola sulle vittime civili di Gaza, un popolo decimato e vittima di un genocidio sotto gli occhi del mondo intero. Per Paninforni, tutto è ridotto a “propaganda violenta dell’estrema sinistra”.
E poi, in crescendo, “tolleranza zero”, ripetuto come un mantra contro chi manifesta, contro chi dissente, contro chi non rientra nel perimetro dell’ordine imposto. Una visione da Stato di Polizia, non da democrazia costituzionale. L’apice arriva con la proposta “se non bastano le carceri, costruiamone ancora di più”.
È questo il modello di società che si vuole proporre? Altro che sicurezza: è la negazione stessa dei principi democratici e dei diritti fondamentali.
Atto III – Matteo Lando e la strumentalizzazione disgustosa
Il consigliere Matteo Lando (capogruppo Lega) è riuscito nell’impresa di superare i colleghi. Una tragedia reale, l’assassinio di Charlie Kirk, che dovrebbe richiamare rispetto e riflessione, diventa invece occasione per dipingere la sinistra come complice morale di un “clima d’odio” e per agitare lo spettro della violenza politica in salsa locale. A nulla sono servite le dichiarazioni delle forze di minoranza riguardo l’omicidio Kirk e tutte le violenze strumentali generate dai soliti soggetti mascherati, dai quali la gente per bene si dissocia.
L’uso strumentale di un omicidio a fini propagandistici con la richiesta del minuto di silenzio in aula è disgustoso. Non esiste giustificazione. Siamo davanti a una caduta di stile e di umanità che lascia attoniti.
Atto IV – Epilogo tra antifascisti “più fascisti dei fascisti” e battutacce da bar
Infine, il consigliere Marco Fossati (Forza Italia) ha rincarato la dose, parlando di “fascismo degli antifascisti”, indicando nei centri sociali e nella sinistra il vero pericolo per la democrazia. E, per non farsi mancare nulla, ha rispolverato la solita ironia da osteria: magliette con “Frocia Italia”, slogan sguaiati, sarcasmo sulle identità di genere. Ancora una volta, nessun cenno a valori positivi, nessuna proposta, nessun contributo alla comunità. Solo insulti e caricature.
Quattro interventi, un unico filo conduttore: la retorica dell’attacco permanente, della criminalizzazione del diverso, della ridicolizzazione dei diritti civili.
La scena che ne esce non è quella di un Consiglio comunale che rappresenta la comunità, ma di una tribuna ideologica in cui le urla sostituiscono le idee e in cui la paura del confronto democratico viene mascherata da difesa dei “valori cristiani” o dell’“ordine pubblico”.
Lissone merita di più. Molto di più.



